I contributi Inps ed Enasarco non sono tasse
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- Pubblicato 16 Novembre 2016
Colgo l'occasione da una consulenza con un nostro associato per soffermarmi sulla contribuzione Inps.
Questo collega, buon per lui, ha previsto un ricavo provvigionale nel 2016 ben superiore all'anno precedente e quindi mi chiedeva un parere circa la convenienza o meno di costituire una società di persone quale una sas.
In questa occasione non intendo soffermarmi sull'aspetto fiscale o contrattuale ma soprattutto su quello previdenziale. Infatti la prima preoccupazione di quel socio verteva sul fatto che mantenendo la forma individuale avrebbe versato parecchi contributi Inps. In sostanza questi versamenti erano vissuti come imposte o, impropriamente, tasse. Considerato che la questione è di carattere generale in quanto tanti altri sono i colleghi che la pensano in egual modo, credo opportuno formulare alcune semplici osservazioni.
Il sistema contributivo, vigente sia per Inps come pure per Enasarco (seppur con le specificità dei pro-quota) prevede un similare coefficiente di trasformazione che in base all'età di pensionamento va dal 5 al 6%.
Cosa significa questo?
Vuo dire che ipotizzando un 5% nel giro di venti anni tutto ciò che è stato versato a titolo di contributi, rivalutati, durante la vita lavorativa, chiamato montante contributivo, viene ritornato in termini di assegno pensionistico. Infatti il 5% di 100 moltiplicato per 20 anni corrisponde al 100%.
Quindi più si versa e più elevata sarà la futura pensione. Pertanto i contributi Inps (come pure Enasarco), non sono "tasse" ma dei veri e propri accantonamenti, una forma di risparmio per la propria vecchiaia.
Oltretutto importi regolarmente deducibili dal reddito con il conseguente, in questo caso effettivo, risparmio di imposte.
So bene che quanto affermato potrà sollevare obiezioni in quanto non vi è particolare fiducia nei confronti degli Enti Previdenziali, soprattutto da parte dei più giovani, ma questa è la pura realtà.
Naturalmente non intendo entrare nello specifico caso di quell'associato. Trasformare la ditta individuale in società può anche avere un senso anche se, personalmente, in linea generale, per una serie di ragioni, non ne sono particolarmente propenso. Ciò che mi preme sottolineare, ripeto, è l'aspetto previdenziale, altro che risparmiare sui contributi Inps, è questo il cosidetto "primo pilastro" che però a regime non sarà a coprire più del 40/45 % del livello retributivo del momento dell'età pensionabile. Un altro 20/25 % potrà arrivare dal "secondo pilastro" corrispondente alla pensione Enasarco, ma ugualmente importante è costituire anche il "terzo pilastro" cioè la previdenza integrativa complementare i cui versamenti trovano la deducibilità fino a 5.160 euro che potrà sopperire per almeno un ulteriore 10 %.
In pratica, a spanne, in futuro, considerato il calcolo pensionistico solo con il sistema contributivo, ci vorranno ben tre forme di previdenza per arrivare almeno all'80 % dell'ultima retribuzione.
Naturalmente queste cifre sono solo indicative, dipende ovviamente dagli effettivi versamenti e dall'ultima retribuzione.
Purtroppo sono a constatare che a differenza di quel socio oggetto di consulenza, tanti altri colleghi, causa difficoltà economiche non versano la quota Inps che oltre a creare problemi in termini di sanzioni, creano pure dei dannosi vuoti contributivi che comporteranno altrettanto dannose riduzioni degli importi pensionistici. L'invito caloroso è quello di fare il possibile per effettuare i regolari versamenti soprattutto di non considerarle spese inutili.
Massimo Azzolini