Il recesso anticipato dal contratto di agenzia a tempo determinato
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- Pubblicato Giovedì, 05 Aprile 2018 00:00
Per sua definizione il contratto di agenzia a tempo determinato si scioglie legittimamente solo con la scadenza del termine convenuto.
Questo significa che una sua cessazione anticipata, non determinata da un concorde consenso delle parti o dall'intervento di una causa che comporti la risoluzione immediata del contratto (ex. art. 1453 c.c. e segg.), deve considerarsi illeggittima con conseguente diritto, per la parte non inadempiente, al risarcimento del danno. Con riferimento al contratto a tempo determinato, è pacifico ritenere che il contratto continua ad essere efficace fino alla scadenza. In tale caso, un recesso illegittimo, non potrà in alcun modo risolvere il contratto che, pertanto, proseguirà anche dopo l'ingiustificato recesso fino alla sua normale scadenza.
La Suprema Corte sul punto ha stabilito che "con riguardo al contratto di agenzia, ove il preponente receda illegittimamente dal rapporto ed ometta, di conseguenza, di fornire all'agente la cooperazione indispensabile per lo svolgimento della sua attività, non ne consegue la risoluzione del contratto, che deve considerarsi ancora in corso fino alla prevista scadenza, bensì ne deriva la responsabilità del preponente stesso, che è tenuto - pur in mancanza di una costituzione in mora - al risarcimento del danno in favore dell'agente" (cfr. Cass. Civ. 1990 n. 1614).
In tal caso, alla risoluzione contrattuale consegue il diritto al risarcimento dei danni nei confronti della parte inadempiente. Il danno si configura diversamente a seconda che inadempiente sia il preponente o l'agente. In caso di recesso anticipato del preponente rispetto alla scadenza, privo di giustificatezza, l'agente ha diritto al risarcimento del danno, calcolato sulla base delle provvigioni prevedibili per il periodo successivo al recesso e fino alla scadenza del termine. Tale calcolo potrebbe fare riferimento o alla media delle provvigioni in precedenza percepite dall'agente e commisurate al periodo "non lavorato", ovvero alle provvigioni effettivamente percepite da altro agente subentrato al primo.
Il primo criterio, fatto proprio sia dalla giurisprudenza di merito che di legittimità, appare più corretto perché è all'attività dell'agente, il cui rapporto si è risolto, che deve guardarsi, dato che detta attività sarebbe proseguita fino alla scadenza. Il calcolo subirà necessariamente dei correttivi in base al fatto concreto (per. es. rapporto di monomandato o plurimandato), se viene provato che tale attività, per cause òegate al mercato o particolari del preponente, avrebbe subito modifiche rispetto al passato. Nella quantificazione del danno dovrà necessariamente tenersi conto del fatto che l'agente non ha affrontato spese nel periodo non lavorato e pertanto le stesse andranno a decurtare l'ammontare del danno subito.
Qualora a recedere anticipatamente, senza giusta causa, sia l'agente, il preponente dovrà provare di aver subito un danno, rappresentato dalla diminuzione degli utili di impresa nella zona affidata all'agente (in quanto conseguenza immediata e diretta dell'inadempienza dell'agente, ex art. 1223 c.c.), e sempre che questi non sia stato tempestivamente sostituito, ovvero dalla differenza di fatturato procurato dal nuovo agente rispetto a quello che presumibilmenteavrebbe realizzato l'agente recedente. Trattasi di una valutazione estremamente delicata che non può prescindere dalle caratteristiche e particolarità di ogni singola fattispecie che impedisce di applicare un criterio di carattere generale applicabile ad ogni caso. L'agente dovrà, infine, anche rimborsare il preponente delle spese che questi ha sostenuto per beni e/o servizi usufruibili dallo stesso.
Il diritto alle provvigioni indirette
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- Pubblicato Martedì, 06 Febbraio 2018 00:00
Contratto e Codice Civile, art. 1742
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Il Codice Civile con questo articolo definisce la figura dell'agente di commercio e stabilisce le prerogative principali che gli sono attribuite con il contratto di agenzia.
Fallimento: valida la notifica via PEC (anche) alla società cancellata dal Registro delle Imprese
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Sentenza della Cassazione n. 17946/2016
Nel caso di società già cancellata dal Registro delle Imprese, il ricorso per la dichiarazione di fallimento può essere validamente notificato, ai sensi dell'art. 15, 3 comma, L. fall. - nel testo novellato dal D.L. 179/2012 - all'indirizzo di posta elettronica certificata della società cancellata in precedenza comunicato al registro delle imprese, ovvero quando, per qualsiasi ragione, non risulti possibile la notifica a mezzo PEC, direttamente presso la sua sede risultante sempre dal registro delle imprese e, in caso di ulteriore esito negativo, mediante deposito presso la casa comunale del luogo dove la medesima aveva sede.
Il “Foro” delle cause di agenzia
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- Pubblicato Venerdì, 13 Marzo 2015 04:04
Trattasi palesemente di uno strumento per disincentivare l'agente a ricorrere al Giudice al fine di tutelare i propri diritti.
Escluso il diritto dell'ex coniuge all'indennità di fine rapporto se l'altro coniuge è un agente/imprenditore
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- Pubblicato Giovedì, 29 Settembre 2016 00:00
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17883/2016 ha respinto il ricorso di una donna che pretendeva le fosse attribuita una quota dell'indennità di fine rapporto riconosciuta all'ex marito per la sua attività di agente.
Il riconoscimento di tale pretesa non può prescindere dalla natura del rapporto nella cui cessazione l'indennità ha il presupposto. Dato che nel caso del rapporto di agenzia è esclusa la configurabilità degli estremi della parasubordinazione ogni qualvolta l'attività dell'agente non si risolva in una prestazione di opera continuativa e coordinata prevalentemente personale, ma sia rivolta attraverso una struttura societaria o comunque mediante un'organizzazione imprenditoriale di dimensioni tali da assumere carattere preminente rispetto al contributo personale fornito dall'agente. Ciò posto, al fine di stabilire se una determinata attribuzione in favore del lavoratore rientri o meno fra le indennità di fine rapporto contemplate dall'art. 12-bis L. 898/70, non è determinante il carattere strettamente o prevalentemente retributivo della stessa, ma, piuttosto, il correlarsi dell'attribuzione (fermi, ovviamente, gli altri presupposti stabiliti dalla legge) all'incremento patrimoniale prodotto, nel corso del rapporto, dal lavoro dell'ex coniuge (che si è giovato del contributo indiretto dell'altro coniuge).
La funzione riequilibratrice assegnata all'attribuzione in esame non può essere considerata sufficiente a giustificare l'equiparazione della posizione del coniuge del lavoratore subordinato, o parasubordinato a quella del coniuge dell'imprenditore, se non altro perché quest'ultimo, pur partecipando indirettamente al godimento dei relativi proventi, non è assoggettato ai rischi dell'attività economica svolta dall'altro coniuge in regime di autonomia. Diversamente opinando, non si comprenderebbe il motivo per cui il legislatore, nell'accordare al coniuge divorziato il diritto in esame, ne abbia limitato il riconoscimento all'ipotesi in cui l'altro coniuge abbia intrattenuto con terzi un rapporto di lavoro, escludendone pertanto la spettanza laddove, per caratteristiche e dimensioni, l'attività svolta non sia ricondicibile alla predetta nozione.
Gli obiettivi di vendita nelle clausole risolutive espresse
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- Pubblicato Domenica, 01 Febbraio 2015 04:04
L'art. 1749 del Codice Civile - Obblighi del preponente
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- Pubblicato Giovedì, 11 Giugno 2015 11:00
Avv. Giuseppe Sacco
Fallimento o concordato preventivo della mandante, diritti e doveri dell'agente
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- Pubblicato Mercoledì, 12 Novembre 2014 09:56
In questo momento storico gli agenti si trovano nella situazione di dover spesso gestire il proprio rapporto di agenzia nei casi di crisi economica delle società preponenti, normalmente nel silenzio degli organi amministrativi che nulla o poco lasciano trapelare circa le sorti della società, creando dei momenti di stasi del rapporto di collaborazione che possono durare anche diversi mesi, durante i quali l'agente non sa se considerarsi ancora vincolato alla propria preponente o libero di cercare nuovi incarichi.
La legge fallimentare non prevede per l'agenzia l'applicazione di norme speciali, conseguentemente trovano applicazione le norme generali previste per la generalità dei "rapporti pendenti".
In caso di fallimento della società preponente trova applicazione la norma di cui all'art. 72 L.F. secondo la quale l'esecuzione del rapporto di agenzia "rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi ovvero di sciogliersi dal medesimo". Una volta intervenuto il fallimento la scelta se proseguire o meno il rapporto di agenzia spetta al curatore fallimentare, pur in presenza, come spesso accade, dell'inadempimento della società preponente (poi fallita) che non adempie, a volte anche già da diversi mesi, alle proprie obbligazioni (per es. non consegna il campionario, non paga le provvigioni, non consegna i prodotti, ecc.).
L'agente, ancora contrattualmente vincolato alla società fallita, per accelerare i tempi di decisione degli organi della procedura fallimentare (curatore e comitato dei creditori) può soltanto "mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto".
La disposizione in esame non è derogabile dalle parti: l'art. 72, comma 6°, L.F. stabilisce l'inefficacia delle clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento della preponente.
In caso di cessazione del rapporto con tali modalità, non potendo equiparare la decisione del curatore di sciogliersi dal contratto (considerata l'impossibilità oggettiva a proseguire l'attività di impresa) ad un recesso volontario della preponente, allo stato la dottrina prevalente ritiene che all'agente non spetti la indennità sostitutiva del mancato preavviso e neppure l'indennità suppletiva di clientela; vi è invece una apertura circa il diritto alla liquidazione della indennità ex art. 1751 c.c. con tutta la difficoltà di dimostrare la permanenza in capo alla preponente dei vantaggi derivanti dall'incremento di clientela e di fatturato (possibile, per esempio, nei casi di esercizio provvisorio dell'impresa oppure cessione di un marchio forte e del relativo avviamento).
Anche dopo la riforma, la legge fallimentare nulla dispone in merito agli effetti del concordato preventivo sui "rapporti giuridici pendenti" e quindi nel caso concreto sui rapporti di agenzia. In mancanza di norme al riguardo la dottrina si è orientata nel ritenere che durante la procedura concorsuale i contratti non cessino, salvo che la risoluzione del contratto sia già prevista nel piano predisposto dal preponente.
E' evidente che in tale ultimo caso è il preponente stesso ad esercitare volontariamente il recesso e pertanto la dottrina ritiene che l'agente abbia diritto tanto alla indennità sostitutiva del mancato preavviso che alla indennità suppletiva di clientela (e, a maggior ragione, ricorrendone i presupposti, all'indennità ex art. 1751 c.c.).
Nel caso in cui il piano concordatario nulla preveda occorre precisare che, fermo restando che il contratto continua ad essere valido ed efficace, la preponente ammessa al concordato può chiedere di essere autorizzata alla sospensione del contratto per non più di 60 giorni prorogabili una sola volta.
Qualora invece il piano del concordato preveda la prosecuzione del rapporto per continuità aziendale ex art. 186 bis, 3° co., L.F., le provvigioni maturate prima dell'ammissione della preponente alla procedura concorsuale verranno pagate, in via privilegiata (quelle maturate nell'ultimo anno di attività), nel rispetto dei termini e delle condizioni del concordato, mentre le provvigioni maturate successivamente dovranno essere soddisfatte in prededuzione, trattandosi di credito sorto in occasione o in funzione della procedura.
Da quanto sopra risulta di notevole importanza che l'agente ponga in essere tempestivamente il recesso (prima della dichiarazione di fallimento o di ammissione al concordato preventivo), allorquando sia in presenza di inadempimenti della preponente da ritenersi "gravi" cioè di notevole entità e tali da far venire meno il rapporto fiduciario.
Avv. Anna Pan
L'articolo 1748 del c.c. - Diritto dell'agente alla provvigione
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- Pubblicato Martedì, 09 Giugno 2015 04:09
Il patto di non concorrenza a fine rapporto
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- Pubblicato Venerdì, 07 Novembre 2014 04:04
Articolo 1751 bis del Codice Civile
L'accordo contrattuale con il quale l'agente di obbliga a non svolgere attività in concorrenza con la preponente dopo la fine del contratto di agenzia è validamente pattuito se: a) risulta da un atto scritto espressamente accettato; b) si riferisce alla stessa zona, clientela e tipologia di prodotti interessanti il contratto di agenzia risolto; c) ha una durata massima di due anni.
Qualora il patto di non concorrenza ecceda i limiti sopra individuati (di durata e di zona, clienti e prodotti), il patto verrà considerato parzialmente nullo ed opererà, pertanto, entro i medesimi limiti stabiliti dalla legge.
Ne consegue che un patto di non concorrenza formulato in violazione dei limiti imposti dalla normativa vigente, non è totalmente nullo e come non esistente -con conseguente libertà dell'agente di non rispettare alcun obbligo di non concorrenza- bensì valido ed efficace nei limiti suddetti.
La presenza di un patto di non concorrenza post contrattuale determina per l'agente, al momento della risoluzione del rapporto di agenzia, da una parte, l'obbligo di non compiere in qualsiasi forma e modalità attività in concorrenza e, dall'altra, il diritto a percepire la corresponsione dalla preponente di una specifica indennità di natura non provvigionale.
Indennità che viene determinata con contrattazione delle parti tenuto conto degli accordi economici di categoria.
L'indennità prevista dovrà essere riconosciuta dalla preponente anche nelle ipotesi in cui l'agente - per aver unilateralmente determinato la fine del contratto di agenzia o per l'averla provocata con inadempimenti che costituiscano giusta causa di risoluzione allo stesso imputabile - non abbia diritto alle altre indennità di cessazione del rapporto di agenzia. Il vincolo generato dal patto di non concorrenza post contrattuale permane dunque a prescindere dalle motivazioni che hanno determinato la fine del contratto di agenzia. Ne consegue che agente e preponente non possono legittimamente sciogliere il vincolo suddetto se non con esplicito accordo accettato da entrambe le parti.
Clausole contrattuali, dunque, che attribuiscano alla preponente o all'agente il presunto diritto di scegliere insindacabilmente al momento della fine del rapporto di agenzia se pretendere o meno il rispetto del patto di non concorrenza, sono inefficaci. Il patto produce effetto e smette di produrlo solo ed esclusivamente se agente e preponente trovano un accordo in tal senso.
Avv. Selene Nicolè
L'art. 1747 - L'obbligo dell'agente di comunicazione degli impedimenti sopravvenuti
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- Pubblicato Lunedì, 18 Maggio 2015 15:30
L'agente che non è in grado di eseguire l'incarico affidatogli deve dare immediato avviso al preponente. In mancanza è obbligato al risarcimento del danno.
Agente o rappresentante
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- Pubblicato Venerdì, 03 Ottobre 2014 04:04
Art. 1752 Cod. Civ. e Accordi Economici Collettivi
Nel comune parlare i termini agente di commercio e rappresentante di commercio vengono spesso usati quali sinonimi. In realtà, dal punto di vista giuridico, le due figure si distinguono perché diventa rappresentante l'agente a cui il preponente conferisce l'incarico di concludere accordi o contratti in suo nome.
Ciò significa, e sul punto ci soccorrono per maggiore chiarezza gli Accordi Economici Collettivi, che è agente di commercio colui che è stabilmente incaricato (da uno o più preponenti) di promuovere la conclusione di contratti in una determinata zona, mentre è rappresentante di commercio colui che è stabilmente incaricato (da uno o più preponenti) di concludere contratti in nome dei medesimi in una determinata zona.
L'art. 1752 codice civile prevede espressamente che le disposizioni inerenti il rapporto di agenzia (artt. 1742-1753 c.c.) si applichino anche nella ipotesi in cui all'agente è conferita dal preponente la rappresentanza per la conclusione di contratti.
Le norme del codice civile in materia di agenzia e le norme dettate dagli Accordi Economici Collettivi quindi si applicano ad entrambe le ipotesi.
Il potere di rappresentanza di cui viene munito l'agente non ha, di regola, carattere generale, bensì speciale, tant'è che l'agente non impegna il preponente se non ne spende di volta in volta il nome e il medesimo vincola il preponente nei limiti della sua procura, potendo concludere solo i contratti da lui promossi.
Quindi, nella pratica, la differenza tra agente e rappresentante consiste nel fatto che il primo ha l'incarico di invitare i terzi a formulare proposte contrattuali mentre il secondo conclude i contratti firmandoli in nome del preponente ed essi diventano vincolanti per quest'ultimo.
La forma del conferimento di tale potere di rappresentanza può essere libera, in virtù di quanto previsto dall'art. 1392 c.c., ciò significa che la procura può essere rilasciata anche mediante comportamento concludente del preponente, sebbene in tal caso non sia agevole accertarne l'esistenza in concreto, dovendosi valutare il silenzio del preponente di fronte alla trasmissione delle copie commissioni firmate sia dal cliente che dall'agente.
La giurisprudenza è incline a disconoscere la presunzione del potere di rappresentanza, ragion per cui il relativo potere deve essere dimostrato da chi ne sostiene l'esistenza.
Ci si chiede se il rappresentante di commercio abbia il potere o il dovere di concludere affari. Un orientamento dottrinale attribuisce all'agente il potere di concludere il contratto ma non il dovere di farlo; altro orientamento, invece, partendo dal tenore letterale della norma, ritiene che il rappresentante abbia l'obbligo di concludere i contratti, ma si ritiene che tale obbligo vi sia qualora l'affare sia conveniente.
L'agente munito del potere di rappresentanza che violi l'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative può esporre il preponente alla responsabilità precontrattuale nei confronti del Cliente.
Vi sono delle ipotesi, previste dalla legge, in cui l'agente ha una rappresentanza, nei confronti del preponente, limitatamente ad alcune attribuzioni. L'art. 1745 c.c., 1° co., dispone, infatti, che eventuali reclami relativi alle inadempienze contrattuali sono validamente fatte all'agente che ha concluso l'affare; quest'ultimo può, inoltre, chiedere provvedimenti cautelari nell'interesse del preponente e presentare reclami che si rendono necessari per la conservazione dei diritti di quest'ultimo. Qualunque altro potere rappresentativo deve invece risultare dal contratto.
avv. Anna Pan
L'art. 1744 del Codice Civile, Le Riscossioni
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- Pubblicato Venerdì, 08 Maggio 2015 10:00
AEC deve essere conferita per iscritto e devSotto la rubrica riscossioni, l'art. 1744 cod. civ. precisa che l'agente NON ha la facoltà di riscuotere i crediti del preponente, salvo che la stessa non gli venga convenzionalmente concessa.
La riscossione dei crediti del preponente si pone per l'agente come una obbligazione accessoria, che secondo gli e prevedere uno specifico compenso aggiuntivo di carattere non provvigionale.
Tale previsione, secondo la Cassazione, è applicabile qualora ricorrano tutte le condizioni previste dalla contrattazione collettiva (conferimento di incarico continuativo e responsabilità dell'agente per errore contabile) e in tal caso non è derogabile da parte del contratto individuale.
Avv. Anna Pan
Liquidazione della società e recesso dell’agente
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- Pubblicato Venerdì, 03 Ottobre 2014 04:04
ll diritto dell'agente a percepire l'indennità sostitutiva del preavviso e di fine rapporto in caso di recesso della preponente dal contratto, deve essere riconosciuto anche nell'ipotesi di scioglimento e messa in liquidazione della casa mandante.
L'art. 1743 - l'esclusiva nel rapporto di agenzia tra codice civile e accordi economici collettivi
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- Pubblicato Mercoledì, 15 Aprile 2015 18:30
Avv. Pierluigi Fadel
L'articolo 1751 e l'indennità di cessazione
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- Pubblicato Mercoledì, 16 Luglio 2014 15:47
Diversamente da quanto accadeva sotto il regime del precedente art. 1751 c.c., che riconosceva il diritto dell'agente a percepire un'indennità in ogni ipotesi di scioglimento del contratto (fino al punto di estenderla anche al caso di recesso dell'agente), limitandosi poi a rimandare, per il calcolo della stessa, agli Accordi Economici Collettivi, la nuova formulazione dell'art. 1751 c.c., di cui al Decreto Legislativo 303/1991, con la quale è stata data attuazione alla direttiva 1986/653/CEE (le cui disposizioni sono inderogabili a svantaggio dell'agente), prevede che il preponente sia obbli¬gato a corrispondere all'agente, all'atto della cessazione del rappor¬to, un'indennità di scioglimento solamente in presenza di determi¬nati presupposti.
La ragione che sta alla base di questa previsione legislativa può essere collegata al fatto che quando il rapporto di agenzia cessa, i clienti contattati, conservati o incrementati dall'agente di commercio rimangono acquisiti alla preponente, che si trova così nella possibilità di lucrare ancora ulteriori guadagni.
Secondo il codice civile la ditta preponente è tenuta a corrispondere all'agente l'indennità di scioglimento del rapporto a condizione che:
A) l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente, e/o
B) abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.
C) che il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e soprattutto, delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.In sede di prima attuazione della direttiva 1986/653/CEE, il legislatore italiano aveva considerato dette condizioni tra loro alternative, con ciò sottoponendosi alla censura della Corte di Giustizia. Si rendeva così necessaria una rettifica che veniva attuata a mezzo del Decreto Legislativo 65/1999, che ha sancito la necessità che dette condizioni concorrano tra loro con¬giuntamente.
L'intenzione del legislatore, in armonia con la direttiva comunitaria 1986/653/CEE, è stata quella di introdurre un trattamento migliorativo e più vantaggioso per l'agente, soprattutto con riferimento alla fase di scioglimento del rapporto, introducendo, così, un criterio meritocratico at¬traverso cui giungere a premiare l'agente che ha effettivamente ap¬portato con la sua opera vantaggi alla ditta preponente.
È facilmente intuibile detta necessità: infatti, se è nella quasi normalità delle cose che l'agente procuri nuovi clienti al preponente e che l'agente sviluppi gli affari con i clienti esistenti, stante il carattere appunto "indennitario" della somma che gli viene riconosciuta per legge, occorre anche che il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.
In base al 2° comma dell'art. 1751 c.c., invece, l'indennità non sarà dovuta nei seguenti casi:
1) il preponente risolve il contratto per un'inadempienza imputabile all'agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto;
2) l'agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustifi¬cato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attri¬buibili all'agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell'attività;
3) previo accordo con il preponente, l'agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d'a¬genzia.
Il 5° comma dell'art. 1751 c.c. dispone poi che l'indennità dovrà essere richiesta dall'agente, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dallo scioglimento del contratto.
Una volta verificate le condizioni per ottenere o meno il riconoscimento dell'indennità, la norma ha portato una ancora più consistente innovazione al precedente regime, ponendo un limite massimo quantitativo a detta indennità. Infatti il 3° comma dell'art. 1751 c.c., prevede che "l'indennità di scioglimento non può superare una cifra equivalente ad un'inden¬nità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall'agente negli ultimi cinque anni" e, se il contratto risale a meno di cinque anni, "sulla media del periodo in questione".
Con l'entrata in vigore del D. Leg.vo 303/91, le parti sindacali rilevarono immediatamente lo sconvolgimento dei criteri della c.d. "indennità europea" rispetto agli automatismi del sistema offerto dagli Accordi Economici Collettivi, ormai consolidati anche dalla costante applicazione giurisprudenziale. Nel 1992 le Parti Sindacali, di parte datoriale e degli agenti, si sono, pertanto, incontrate per esaminare gli effetti sui vigenti A.E.C. alla luce dell'intervenuta modifica dell'art. 1751 del c.c., sottoscrivendo i c.d. "accordi ponte", il cui contenuto è stato, sostanzialmente, quello di mantenere in vita la normativa collettiva, in attesa di esaminare nel suo complesso la posizione e trovare un'adeguata soluzione al problema.
Nel 2002 le Parti Sindacali hanno affrontato il problema disciplinando una normativa mista che riprende in parte la precedente indennità di clientela e suddivide la indennità di fine rapporto in tre parti:
a) Indennità di risoluzione del rapporto; si tratta del F.I.R.R. depositato dalle preponenti presso l'ENASARCO in costanza di rapporto;
b) indennità suppletiva di clientela; si tratta della medesima indennità già prevista dai precedenti A.E.C.;
c) indennità meritocratica; si tratta di una indennità supplementare da riconoscersi all'agente allorché ricorrano le condizioni previste dall'art. 1751 c.c. che il più recente A.E.C. del commercio, stipulato nel 2009 ed integrato in data 10 marzo 2010, ha tabellato quanto alle modalità di calcolo.
Il problema della coesistenza delle norme di cui agli A.E.C. e le previsioni di cui all'art. 1751 c.c. è ancora oggi ben lungi dal trovare una soluzione.
Neppure una pronunzia della Corte di Giustizia dell'U.E., alla quale ha fatto seguito una serie di pronunzie della Corte di Cassazione, ha potuto definire compiutamente il problema.
La soluzione che ha trovato un certo seguito sia in dottrina che in parte della giurisprudenza, sembrerebbe propendere per mantenere il sistema previsto dall'A.E.C. quale minimo garantito per l'agente, non considerando l'indennità di clientela un istituto superato, sempre che con riferimento a ciascun singolo caso di scioglimen¬to del contratto non emerga che il trattamento previsto dall'art. 1751 c.c. sia, nella sua complessità, migliorativo dal punto di vita economico per l'agente, rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva.
Avv. Giuseppe Sacco