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Studi di settore, criteri aggiornati

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L'amministrazione finanziaria è tenuta ad applicare nella procedura di accertamento lo studio di settore più recente e affinato. Ad ogni modo le Commissioni tributarie hanno la facoltà di ricalcolare l'imponibile alla luce dello standard più recente.

Rilanciando l'importanza delle garanzie in favore di contribuenti e professionisti soggetti agli studi di settore, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 26511 del 17 dicembre 2014, ha accolto il secondo motivo di ricorso presentato da un professionista che aveva dimezzato la sua attività per seguire l'azienda di famiglia. L'ufficio aveva applicato un standard obsoleto, riducendo però il debito fiscale dato che gran parte dell'attività dell'uomo si era diretta verso la gestione societaria. In Ctp e in Ctr l'operato dell'amministrazione era stato sdoganato. Ora la Suprema corte ha ribaltato il verdetto. La sezione tributaria ha, infatti, spiegato che l'applicazione del metodo più aggiornato e aderente alla rappresentazione della realtà effettuale non può costituire oggetto di scelta discrezionale da parte dell'amministrazione finanziaria, avuto riguardo sia al principio costituzionale di imparzialità dell'azione amministrativa tributaria, sia al principio di efficienza dell'attività di accertamento tributario: non è, infatti, compatibile con i predetti principi costituzionali l'applicazione da parte della Amministrazione finanziaria, secondo un criterio di mera convenienza, del livello di reddito standard «maggiore» tra quelli elaborati statisticamente nei diversi provvedimenti succedutisi nel tempo.

Debora Alberici

Da "Italia Oggi"