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Rapporto di Agenzia

Il “Foro” delle cause di agenzia

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Ormai è diventata una moda! Le mandanti sempre più spesso inseriscono nei contratti la determinazione del Foro competente che ovviamente nella grande maggioranza dei casi coincide con la sede dell'azienda stessa!
Trattasi palesemente di uno strumento per disincentivare l'agente a ricorrere al Giudice al fine di tutelare i propri diritti.

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Gli obiettivi di vendita nelle clausole risolutive espresse

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Il mancato raggiungimento non può determinare automaticamente "giusta causa" di risoluzione, come frequentemente prevedono i contratti, con perdita delle indennità di cessazione del rapporto.

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Liquidazione della società e recesso dell’agente

ll diritto dell'agente a percepire l'indennità sostitutiva del preavviso e di fine rapporto in caso di recesso della preponente dal contratto, deve essere riconosciuto anche nell'ipotesi di scioglimento e messa in liquidazione della casa mandante.

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Fallimento o concordato preventivo della mandante, diritti e doveri dell'agente

Fallimento 2

In questo momento storico gli agenti si trovano nella situazione di dover spesso gestire il proprio rapporto di agenzia nei casi di crisi economica delle società preponenti, normalmente nel silenzio degli organi amministrativi che nulla o poco lasciano trapelare circa le sorti della società, creando dei momenti di stasi del rapporto di collaborazione che possono durare anche diversi mesi, durante i quali l'agente non sa se considerarsi ancora vincolato alla propria preponente o libero di cercare nuovi incarichi.

La legge fallimentare non prevede per l'agenzia l'applicazione di norme speciali, conseguentemente trovano applicazione le norme generali previste per la generalità dei "rapporti pendenti".
In caso di fallimento della società preponente trova applicazione la norma di cui all'art. 72 L.F. secondo la quale l'esecuzione del rapporto di agenzia "rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi ovvero di sciogliersi dal medesimo". Una volta intervenuto il fallimento la scelta se proseguire o meno il rapporto di agenzia spetta al curatore fallimentare, pur in presenza, come spesso accade, dell'inadempimento della società preponente (poi fallita) che non adempie, a volte anche già da diversi mesi, alle proprie obbligazioni (per es. non consegna il campionario, non paga le provvigioni, non consegna i prodotti, ecc.).
L'agente, ancora contrattualmente vincolato alla società fallita, per accelerare i tempi di decisione degli organi della procedura fallimentare (curatore e comitato dei creditori) può soltanto "mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto".
La disposizione in esame non è derogabile dalle parti: l'art. 72, comma 6°, L.F. stabilisce l'inefficacia delle clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento della preponente.
In caso di cessazione del rapporto con tali modalità, non potendo equiparare la decisione del curatore di sciogliersi dal contratto (considerata l'impossibilità oggettiva a proseguire l'attività di impresa) ad un recesso volontario della preponente, allo stato la dottrina prevalente ritiene che all'agente non spetti la indennità sostitutiva del mancato preavviso e neppure l'indennità suppletiva di clientela; vi è invece una apertura circa il diritto alla liquidazione della indennità ex art. 1751 c.c. con tutta la difficoltà di dimostrare la permanenza in capo alla preponente dei vantaggi derivanti dall'incremento di clientela e di fatturato (possibile, per esempio, nei casi di esercizio provvisorio dell'impresa oppure cessione di un marchio forte e del relativo avviamento).
Anche dopo la riforma, la legge fallimentare nulla dispone in merito agli effetti del concordato preventivo sui "rapporti giuridici pendenti" e quindi nel caso concreto sui rapporti di agenzia. In mancanza di norme al riguardo la dottrina si è orientata nel ritenere che durante la procedura concorsuale i contratti non cessino, salvo che la risoluzione del contratto sia già prevista nel piano predisposto dal preponente.
E' evidente che in tale ultimo caso è il preponente stesso ad esercitare volontariamente il recesso e pertanto la dottrina ritiene che l'agente abbia diritto tanto alla indennità sostitutiva del mancato preavviso che alla indennità suppletiva di clientela (e, a maggior ragione, ricorrendone i presupposti, all'indennità ex art. 1751 c.c.).
Nel caso in cui il piano concordatario nulla preveda occorre precisare che, fermo restando che il contratto continua ad essere valido ed efficace, la preponente ammessa al concordato può chiedere di essere autorizzata alla sospensione del contratto per non più di 60 giorni prorogabili una sola volta.
Qualora invece il piano del concordato preveda la prosecuzione del rapporto per continuità aziendale ex art. 186 bis, 3° co., L.F., le provvigioni maturate prima dell'ammissione della preponente alla procedura concorsuale verranno pagate, in via privilegiata (quelle maturate nell'ultimo anno di attività), nel rispetto dei termini e delle condizioni del concordato, mentre le provvigioni maturate successivamente dovranno essere soddisfatte in prededuzione, trattandosi di credito sorto in occasione o in funzione della procedura.
Da quanto sopra risulta di notevole importanza che l'agente ponga in essere tempestivamente il recesso (prima della dichiarazione di fallimento o di ammissione al concordato preventivo), allorquando sia in presenza di inadempimenti della preponente da ritenersi "gravi" cioè di notevole entità e tali da far venire meno il rapporto fiduciario.

Avv. Anna Pan

 

L'articolo 1751 e l'indennità di cessazione

agente 1Diversamente da quanto accadeva sotto il regime del precedente art. 1751 c.c., che riconosceva il diritto dell'agente a percepire un'indennità in ogni ipotesi di scioglimento del contratto (fino al punto di estenderla anche al caso di recesso dell'agente), limitandosi poi a rimandare, per il calcolo della stessa, agli Accordi Economici Collettivi, la nuova formulazione dell'art. 1751 c.c., di cui al Decreto Legislativo 303/1991, con la quale è stata data attuazione alla direttiva 1986/653/CEE (le cui disposizioni sono inderogabili a svantaggio dell'agente), prevede che il preponente sia obbli¬gato a corrispondere all'agente, all'atto della cessazione del rappor¬to, un'indennità di scioglimento solamente in presenza di determi¬nati presupposti.
La ragione che sta alla base di questa previsione legislativa può essere collegata al fatto che quando il rapporto di agenzia cessa, i clienti contattati, conservati o incrementati dall'agente di commercio rimangono acquisiti alla preponente, che si trova così nella possibilità di lucrare ancora ulteriori guadagni.
Secondo il codice civile la ditta preponente è tenuta a corrispondere all'agente l'indennità di scioglimento del rapporto a condizione che:
A) l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente, e/o
B) abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.
C) che il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e soprattutto, delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.In sede di prima attuazione della direttiva 1986/653/CEE, il legislatore italiano aveva considerato dette condizioni tra loro alternative, con ciò sottoponendosi alla censura della Corte di Giustizia. Si rendeva così necessaria una rettifica che veniva attuata a mezzo del Decreto Legislativo 65/1999, che ha sancito la necessità che dette condizioni concorrano tra loro con¬giuntamente.
L'intenzione del legislatore, in armonia con la direttiva comunitaria 1986/653/CEE, è stata quella di introdurre un trattamento migliorativo e più vantaggioso per l'agente, soprattutto con riferimento alla fase di scioglimento del rapporto, introducendo, così, un criterio meritocratico at¬traverso cui giungere a premiare l'agente che ha effettivamente ap¬portato con la sua opera vantaggi alla ditta preponente.
È facilmente intuibile detta necessità: infatti, se è nella quasi normalità delle cose che l'agente procuri nuovi clienti al preponente e che l'agente sviluppi gli affari con i clienti esistenti, stante il carattere appunto "indennitario" della somma che gli viene riconosciuta per legge, occorre anche che il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.
In base al 2° comma dell'art. 1751 c.c., invece, l'indennità non sarà dovuta nei seguenti casi:
1) il preponente risolve il contratto per un'inadempienza imputabile all'agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto;
2) l'agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustifi¬cato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attri¬buibili all'agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell'attività;
3) previo accordo con il preponente, l'agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d'a¬genzia.
Il 5° comma dell'art. 1751 c.c. dispone poi che l'indennità dovrà essere richiesta dall'agente, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dallo scioglimento del contratto.
Una volta verificate le condizioni per ottenere o meno il riconoscimento dell'indennità, la norma ha portato una ancora più consistente innovazione al precedente regime, ponendo un limite massimo quantitativo a detta indennità. Infatti il 3° comma dell'art. 1751 c.c., prevede che "l'indennità di scioglimento non può superare una cifra equivalente ad un'inden¬nità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall'agente negli ultimi cinque anni" e, se il contratto risale a meno di cinque anni, "sulla media del periodo in questione".
Con l'entrata in vigore del D. Leg.vo 303/91, le parti sindacali rilevarono immediatamente lo sconvolgimento dei criteri della c.d. "indennità europea" rispetto agli automatismi del sistema offerto dagli Accordi Economici Collettivi, ormai consolidati anche dalla costante applicazione giurisprudenziale. Nel 1992 le Parti Sindacali, di parte datoriale e degli agenti, si sono, pertanto, incontrate per esaminare gli effetti sui vigenti A.E.C. alla luce dell'intervenuta modifica dell'art. 1751 del c.c., sottoscrivendo i c.d. "accordi ponte", il cui contenuto è stato, sostanzialmente, quello di mantenere in vita la normativa collettiva, in attesa di esaminare nel suo complesso la posizione e trovare un'adeguata soluzione al problema.
Nel 2002 le Parti Sindacali hanno affrontato il problema disciplinando una normativa mista che riprende in parte la precedente indennità di clientela e suddivide la indennità di fine rapporto in tre parti:
a) Indennità di risoluzione del rapporto; si tratta del F.I.R.R. depositato dalle preponenti presso l'ENASARCO in costanza di rapporto;
b) indennità suppletiva di clientela; si tratta della medesima indennità già prevista dai precedenti A.E.C.;
c) indennità meritocratica; si tratta di una indennità supplementare da riconoscersi all'agente allorché ricorrano le condizioni previste dall'art. 1751 c.c. che il più recente A.E.C. del commercio, stipulato nel 2009 ed integrato in data 10 marzo 2010, ha tabellato quanto alle modalità di calcolo.

Il problema della coesistenza delle norme di cui agli A.E.C. e le previsioni di cui all'art. 1751 c.c. è ancora oggi ben lungi dal trovare una soluzione.
Neppure una pronunzia della Corte di Giustizia dell'U.E., alla quale ha fatto seguito una serie di pronunzie della Corte di Cassazione, ha potuto definire compiutamente il problema.
La soluzione che ha trovato un certo seguito sia in dottrina che in parte della giurisprudenza, sembrerebbe propendere per mantenere il sistema previsto dall'A.E.C. quale minimo garantito per l'agente, non considerando l'indennità di clientela un istituto superato, sempre che con riferimento a ciascun singolo caso di scioglimen¬to del contratto non emerga che il trattamento previsto dall'art. 1751 c.c. sia, nella sua complessità, migliorativo dal punto di vita economico per l'agente, rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva.

Avv. Giuseppe Sacco

 

Il patto di non concorrenza a fine rapporto

la legge

Articolo 1751 bis del Codice Civile

L'accordo contrattuale con il quale l'agente di obbliga a non svolgere attività in concorrenza con la preponente dopo la fine del contratto di agenzia è validamente pattuito se: a) risulta da un atto scritto espressamente accettato; b) si riferisce alla stessa zona, clientela e tipologia di prodotti interessanti il contratto di agenzia risolto; c) ha una durata massima di due anni.

Qualora il patto di non concorrenza ecceda i limiti sopra individuati (di durata e di zona, clienti e prodotti), il patto verrà considerato parzialmente nullo ed opererà, pertanto, entro i medesimi limiti stabiliti dalla legge.
Ne consegue che un patto di non concorrenza formulato in violazione dei limiti imposti dalla normativa vigente, non è totalmente nullo e come non esistente -con conseguente libertà dell'agente di non rispettare alcun obbligo di non concorrenza- bensì valido ed efficace nei limiti suddetti.
La presenza di un patto di non concorrenza post contrattuale determina per l'agente, al momento della risoluzione del rapporto di agenzia, da una parte, l'obbligo di non compiere in qualsiasi forma e modalità attività in concorrenza e, dall'altra, il diritto a percepire la corresponsione dalla preponente di una specifica indennità di natura non provvigionale.
Indennità che viene determinata con contrattazione delle parti tenuto conto degli accordi economici di categoria.
L'indennità prevista dovrà essere riconosciuta dalla preponente anche nelle ipotesi in cui l'agente - per aver unilateralmente determinato la fine del contratto di agenzia o per l'averla provocata con inadempimenti che costituiscano giusta causa di risoluzione allo stesso imputabile - non abbia diritto alle altre indennità di cessazione del rapporto di agenzia. Il vincolo generato dal patto di non concorrenza post contrattuale permane dunque a prescindere dalle motivazioni che hanno determinato la fine del contratto di agenzia. Ne consegue che agente e preponente non possono legittimamente sciogliere il vincolo suddetto se non con esplicito accordo accettato da entrambe le parti.
Clausole contrattuali, dunque, che attribuiscano alla preponente o all'agente il presunto diritto di scegliere insindacabilmente al momento della fine del rapporto di agenzia se pretendere o meno il rispetto del patto di non concorrenza, sono inefficaci. Il patto produce effetto e smette di produrlo solo ed esclusivamente se agente e preponente trovano un accordo in tal senso.

Avv. Selene Nicolè

 

In caso di recesso del preponente, l'agente perde il diritto alle provvigioni sugli affari promossi prima della risoluzione ed evasi successivamente?

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La risoluzione del contratto di agenzia per giusta causa comporta il venir meno del preavviso e la perdita dell'indennità di cessazione del rapporto di cui all'art. 1751 c.c. o dell'indennità di clientela e meritocratica previste dagli Accordi Economici Collettivi.

Lascia invece intatto il diritto alla provvigione. Pertanto, l'agente, anche in caso di recesso del preponente per giusta causa, ha diritto alle provvigioni sugli ordini acquisiti prima ed eseguiti dopo la cessazione del rapporto.

Massimo Azzolini

Agente o rappresentante

Art. 1752 Cod. Civ. e  Accordi Economici Collettivi
Nel comu
ne parlare i termini agente di commercio e rappresentante di commercio vengono spesso usati quali sinonimi. In realtà, dal punto di vista giuridico, le due figure si distinguono perché diventa rappresentante l'agente a cui il preponente conferisce l'incarico di concludere accordi o contratti in suo nome.

Codice civile

 Ciò significa, e sul punto ci soccorrono per maggiore chiarezza gli Accordi Economici Collettivi, che è agente di commercio colui che è stabilmente incaricato (da uno o più preponenti) di promuovere la conclusione di contratti in una determinata zona, mentre è rappresentante di commercio colui che è stabilmente incaricato (da uno o più preponenti) di concludere contratti in nome dei medesimi in una determinata zona.
L'art. 1752 codice civile prevede espressamente che le disposizioni inerenti il rapporto di agenzia (artt. 1742-1753 c.c.) si applichino anche nella ipotesi in cui all'agente è conferita dal preponente la rappresentanza per la conclusione di contratti.
Le norme del codice civile in materia di agenzia e le norme dettate dagli Accordi Economici Collettivi quindi si applicano ad entrambe le ipotesi.
Il potere di rappresentanza di cui viene munito l'agente non ha, di regola, carattere generale, bensì speciale, tant'è che l'agente non impegna il preponente se non ne spende di volta in volta il nome e il medesimo vincola il preponente nei limiti della sua procura, potendo concludere solo i contratti da lui promossi.
Quindi, nella pratica, la differenza tra agente e rappresentante consiste nel fatto che il primo ha l'incarico di invitare i terzi a formulare proposte contrattuali mentre il secondo conclude i contratti firmandoli in nome del preponente ed essi diventano vincolanti per quest'ultimo.
La forma del conferimento di tale potere di rappresentanza può essere libera, in virtù di quanto previsto dall'art. 1392 c.c., ciò significa che la procura può essere rilasciata anche mediante comportamento concludente del preponente, sebbene in tal caso non sia agevole accertarne l'esistenza in concreto, dovendosi valutare il silenzio del preponente di fronte alla trasmissione delle copie commissioni firmate sia dal cliente che dall'agente.
La giurisprudenza è incline a disconoscere la presunzione del potere di rappresentanza, ragion per cui il relativo potere deve essere dimostrato da chi ne sostiene l'esistenza.
Ci si chiede se il rappresentante di commercio abbia il potere o il dovere di concludere affari. Un orientamento dottrinale attribuisce all'agente il potere di concludere il contratto ma non il dovere di farlo; altro orientamento, invece, partendo dal tenore letterale della norma, ritiene che il rappresentante abbia l'obbligo di concludere i contratti, ma si ritiene che tale obbligo vi sia qualora l'affare sia conveniente.
L'agente munito del potere di rappresentanza che violi l'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative può esporre il preponente alla responsabilità precontrattuale nei confronti del Cliente.
Vi sono delle ipotesi, previste dalla legge, in cui l'agente ha una rappresentanza, nei confronti del preponente, limitatamente ad alcune attribuzioni. L'art. 1745 c.c., 1° co., dispone, infatti, che eventuali reclami relativi alle inadempienze contrattuali sono validamente fatte all'agente che ha concluso l'affare; quest'ultimo può, inoltre, chiedere provvedimenti cautelari nell'interesse del preponente e presentare reclami che si rendono necessari per la conservazione dei diritti di quest'ultimo. Qualunque altro potere rappresentativo deve invece risultare dal contratto.
avv. Anna Pan

 

Sospensione attività

espertorisponde

 

Un agente di commercio ha necessità di assentarsi dall'Italia per un periodo imprecisato. E' possibile sospendere o cessare l'attività mantenendo l'iscrizione al Registro delle Imprese?

La sospensione dell'attività (come la successiva ripresa) rientra tra  le "modifiche inerenti l'attività o il personale". Al riguardo l'art. 9 del D.M. 26 febbraio 2011 prevede che la comunicazione debba essere effettuata all'ufficio del registro delle imprese della competente Camera di Commercio (oltre che agli enti previdenziali) entro 30 giorni dall'evento. In base alla circolare del Ministero dell'Industria 22 gennaio 1990, n. 3202, la denuncia di sospensione di durata superiore ai dodici mesi deve essere adeguatamente documentata. Anche la cessazione dell'attività deve essere comunicata ai sensi dell'art. 9. La cancellazione dal registro delle imprese comporta la possibilità di reiscriversi, previa verifica del possesso dei requisiti previsti per il legittimo esercizio dell'attività.