Economia
Nella morsa dei numeri
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- Pubblicato Sabato, 24 Ottobre 2015 00:00
Il progetto di bilancio 2016 sarà esaminato dalla Commissione Europea e dal Gruppo dei ministri economici e finanziari della UE (Ecofin) per poi essere proposto, eventualmente con correzioni e varianti, all'approvazione del Parlamento italiano alla fine di novembre.
In ambiente Ue tutti i progetti di bilancio statale devono ricevere una sorta di bollino blu che ne certifichi il rispetto dei trattati europei. Quello italiano ha un'impostazione di stimolazione della crescita, ma con un eccessivo ricorso al deficit e nessun piano per una sufficiente riduzione prospettica del debito. In particolare, la stimolazione via detassazione è poca perché non mirata sui veri motori economici e non rende credibile un forte impulso alla ripresa. In relazione al recente passato della politica economica italiana è un miglioramento, ma in riferimento ai criteri di bilancio è evidente che la crescita così stimolata non produrrà un rialzo del Pil tale da attutire l'impatto del deficit non decrescente, lasciando nel 2017/2018 l'Italia lontana dall'impegno sia al pareggio di bilancio sia alla riduzione del debito (oggi circa il 131% del Pil con un costo annuo per interessi di 70-80 miliardi).
Lo squilibrio sarà fatto notare dalla Commissione. La quale probabilmente raccomanderà di tagliare la spesa in modo strutturale almeno per 10 - 12 miliardi per ridurre il disavanzo, al posto dei quattro "veri" dimostrabili. Il nostro governo non vorrà né potrà farlo. Quindi, come successo dal 2011 in poi, confermerà clausole condizionali di rialzo delle tasse nel triennio 2016 - 2018 e ne attiverà di nuove nel caso fosse necessario per garantire la stabilità secondo i parametri europei. Sposterà, cioè, nel futuro la garanzia di equilibrio che dovrebbe dimostrare nel presente. Ma quanto?
Nel 2016 lo Stato incasserà parecchi miliardi in più dal gettito fiscale perché mai ha ridotto le tasse, ma solo spostate, e ciò potrebbe ridurre il problema. Ma non al punto da rendere credibile l'azione stimolativa più importante promessa: ridurre sostanzialmente nel 2018 le tasse sulle imprese. Da un lato, il premier confida in un negoziato politico che conceda all'Italia più spazio per il deficit. Dall'altro, fino a che la spesa pubblica non sarà tagliata sul serio e non vi sarà un'azione credibile di riduzione del debito, tale spazio sarà concesso per un anno, ma poi negato quello dopo. E quello che ci concederà l'Ue sarà annotato come inaffidabilità crescente del debito italiano da parte del mercato finanziario globale. Non si scappa: il governo deve tagliare più spesa pubblica per rendere credibili le promesse.
Carlo Pelanda
Investire sulla ripresa
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- Pubblicato Venerdì, 25 Settembre 2015 10:04
La ripresa è vera o falsa? E' vera, ma proprio per questo va consolidata. Infatti bisogna concentrare l'attenzione sul come rendere strutturale una congiuntura favorevole piuttosto che continuare a lamentarsi del fatto che la crescita sia ancora poca e lenta, cioè attorno allo 1% del Pil nel 2015. Nel 2016 è prevista una crescita dell'1,6%, ma in realtà potrebbe essere doppia, se fatte le scelte giuste.
La congiuntura favorevole dipende dall'effetto combinato del calo dei prezzi petroliferi e dell'azione espansiva della Bce. La svalutazione dell'Euro ha dato impulso all'export e all'importazione di flussi turistici. La garanzia di fatto della Bce sul megadebito italiano ha fatto risparmiare denaro pubblico, ha favorito l'afflusso di investimenti esteri in Italia e ha aiutato la riparazione del sistema bancario. Un effetto diretto dell'azione del governo non è ancora rilevabile, ma quello indiretto è stato positivo: non ha esagerato sul lato del rigore, come i governi precedenti, e usa linguaggi espansivi di futura detassazione e di politiche pro-mercato che, seppur non ancora visibili, aiutano sul piano psicologico la fiducia. La ripresa è vulnerabile alla fine delle buone condizioni esterne: se l'euro tornasse de-competitivo, se ci fosse incertezza sulla garanzia Bce sul debito italiano e se il prezzo dell'energia si impennasse, l'Italia tornerebbe in recessione. Ma è più probabile che queste condizioni favorevoli, se la crisi cinese troverà limite e se le elezioni in Grecia e in Spagna non provocheranno nuovi dubbi sulla tenuta dell'Eurozona, durino nel 2016 e parte del 2017. Il governo sta predisponendo misure di stimolazione, gli va riconosciuta buona volontà entro i vincoli di bilancio, ma bene che vadano queste avranno effetti zerovirgola.
Il punto: pur considerando la promessa di detassazione nel 2017-18, il governo può fare poco nei prossimi mesi sul piano degli stimoli diretti, ma può fare molto per favorire gli investimenti privati che innescherebbero un ciclo lungo di crescita robusta. In particolare: cambiare norme e regole che impediscono al risparmio cumulato in Italia di trasformarsi in investimenti sull'Italia stessa e favorire l'aumento degli strumenti finanziari (non-bancari) di investimento. In conclusione, bisogna cambiare logica: non aspettarsi dallo Stato troppe cose, ma chiedergli di rendere più fluido il ciclo degli investimenti. Se così, la già forte industria italiana volerebbe.
Carlo Pelanda
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Una finanziaria "Tassa e Spendi"
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- Pubblicato Venerdì, 29 Maggio 2015 09:00
Il Def (Documento Economico e Finanziaria) 2016 che ci aspetta.
Nei prossimi giorni saranno più chiari i dettagli sia della bozza di legge finanziaria 2016 (Def) che verrà approvata in autunno dopo la valutazione della Commissione europea sia del progetto di riforme anch'esso da sottoporre all'approvazione della UE. Tuttavia, già ora è visibile la logica di fondo che ispira il governo. la priorità non è la crescita, ma quella di mantenere inalterata la spesa pubblica, limitandola solo quel tanto che serve per mantenere l'equilibrio di bilancio richiesto dalle regole europee.
Non si può dire che il governo non voglia tagliare le tasse, ma nelle sue dichiarazioni appare che lo farà solo se avanzerà qualcosa, prova, appunto, che non sente la priorità di attuare uno stimolo fiscale forte. Né si può dire che il governo non voglia ridurre gli sprechi in alcuni settori. Ma si deve annotare che le risorse così liberate saranno impiegate per aumentare la spesa pubblica in altri. Come definire questo riformismo?
E' chiaramente un tentativo di rendere sostenibile e compatibile con le regole europee il modello "tassa e spendi" tipico della sinistra che cerca un'armonizzazione tra Stato e mercato, seguendo le soluzioni già sperimentate dal pragmatismo di Clinton, Blair e Shroeder. Da un lato, è positivo che la sinistra italiana tenti questa modernizzazione pur in ritardo di decenni, anche considerando che la sinistra francese ancora non vuole farla. Dall'altro, va annotato in base ad evidenti dati tecnici che tale riformismo non sarà sufficiente per rimettere l'Italia sul binario di una crescita economica capace di ridare lavoro a chi lo ha perso e ai giovani nonché di rendere sostenibile l'enorme debito pubblico, riducendolo. Questo scenario è stato enfatizzato recentemente dal Wall Street Journal: un'Italia a bassa crescita prospettica ed alto debito è una mina per l'Eurozona molto più della Grecia.
Bocciatura del governo? Non è posizione politica, ma semplice analisi della realtà: nel 2014 la pressione fiscale e la disoccupazione sono aumentate e oggi mostrano che non scenderanno granché nel 2015. Il governo promette che non aumenterà l'Iva, ma non che ridurrà la pressione fiscale complessiva. In conclusione, il pur rimarchevole attivismo del governo sta ritardando, ma non invertendo, il destino di implosione dell'Italia. Alternative? Con taglio di spesa e tasse attorno ai 90 miliardi (in tre anni) l'Italia volerebbe, in particolare se lo iniziasse mentre è in atto il megastimolo monetario della Bce che amplificherebbe moltissimo quello fiscale per la crescita. Ma non è questo il progetto del governo.
Carlo Pelanda
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Se il Paese si scopre stabile
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- Pubblicato Giovedì, 10 Settembre 2015 09:01
Nella turbolenza del mercato globale riemergono America e Europa come quasi uniche aree di stabilità.
Ciò ha effetto sui flussi dei capitali e degli investimenti che da qualche mese, in particolare da quando i problemi sistematici della Cina sono diventati evidenti, si sono spostati sempre di più dalle economie emergenti a quella europea ed americana. Tale situazione, non ancora ben inquadrata dagli scenari tecnici, potrebbe diventare sia negativa sia positiva per l'Eurozona e l' Italia in essa. Se la domanda globale implodesse, cioè se la crisi cinese e di altri a catena, non trovasse limite, allora l' impatto sull' export di Germania e Italia che insieme fanno poco meno del 50% del Pil dell' intera Eurozona - sarebbe grave e manderebbe in recessione l' eurosistema. Se, invece, la crisi fosse contenibile e la domanda globale restasse sostenuta allora vi sarebbe una sorta di riequilibrio nell' economia mondiale a vantaggio dell' Europa. Gli attori di mercato scoprirebbero che è più sicuro investire in un America ed Europa che mostrano stabilità sia politica che finanziaria e sistemi industriali evoluti piuttosto che farlo in nazioni emergenti ancora a sviluppo incerto oppure guidate da regimi autoritari poco trasparenti e pasticcioni, comunque con sistemi industriali meno evoluti. La turbolenza globale è in atto e il nervosismo registrato nel G20 dei ministri economici e delle banche centrali ad Ankara ne è prova. La posizione della Bce è di grande preoccupazione al riguardo del ciclo globale. Ma i dati più recenti rendono probabile più una ristabilizzazione, pur con ancora molta volatilità, dell' economia mondiale che non una sua implosione. Se così, l' Italia dovrebbe guardare a se stessa occhiali diversi e scoprire di essere uno dei luoghi più attraenti del pianeta: stabilità data dall' Euro e dalla partecipazione alla Ue combinata con un' industria manifatturiera ed un' economia creativa ai primi posti del mondo. Un pò sotto la Germania, ma molto sopra alla Francia, semplificando. Infatti da mesi è visibile un incremento degli investimenti esterni in Italia.
Per attrarre ancor più investimenti esteri, l' Italia dovrebbe rafforzare la stabilità politica, il suo ordine interno, la certezza del diritto e l' efficienza della giustizia, il rispetto delle regole europee, nonché rendere più fluido il mercato interno. Nelle contingenze globali stabilità, ordine ed efficienza danno un grande premio.
Carlo Pelanda
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Se il fisco frena la ripresa
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- Pubblicato Giovedì, 07 Maggio 2015 04:04
La ripresa è evidente, ma è trainata da fattori esterni e da condizioni particolari e non da un forte impulso interno: basso prezzo del petrolio ed effetti dello stimolo monetario della Bce sulla competitività del cambio, che esalta l' export, sul credito e, soprattutto, sull' affidabilità del megadebito italiano di fatto "protetto" dalla Bce stessa.
E' opinione di molti analisti che senza queste condizioni esterne e d' eccezione l' Italia sarebbe ancora in leggera recessione, con la speranza di invertirla solo a fine anno, perché la politica economica e fiscale del governo, pur avendo preso una direzione espansiva, non
mostra ancora la capacità di far girare più veloce il volano di crescita rimuovendone i freni fiscali. Appare improbabile, infatti, che questo governo molto condizionato dalla sinistra, sfidato da quella radicale, e a ridosso di importanti elezioni attui rapidamente tagli di spesa e tasse nella quantità utile ad aumentare consumi ed investimenti.
Pertanto è doveroso segnalare che nel 2015 la ripresa resterà dipendente in massima parte dal traino esterno e monetario. Rimarrà stabile ? la scorsa settimana c'è stato un brivido causato dall' ipotesi che l' Iran, via i gruppi sciiti che sostiene nello Yemen e nel contesto della guerra per procura tra Iran sciita ed Arabia sunnita, possa controllare lo stretto di Bade l Mandeb, dominando già quello di Hormuz, ambedue punti strategici nelle rotte del petrolio.
Per qualche ora il mercato ne ha rialzato a picco il prezzo perché il blocco delle rotte potrebbe invertire l' attuale situazione di eccesso di offerta sulla domanda. Poi lo ha riallineato perché non è credibile che l' Iran in trattativa con l' America compia gesti aggressivi. Ma proprio per questo i sauditi potrebbero farli, accendendo un rischio crescente di instabilità. Altri brividi sono venuti dalla notizia che Francia e Germania stanno valutando una revisione dei trattati europei allo scopo di evitare l' uscita della Grecia dalla Ue nel caso non potesse restare nell' euro. Ulteriori brividi sono venuti dalla probabile insolvenza (parziale) del debito ucraino, da segni di instabilità politica ed implosione economica a Mosca, ecc., che indicano la persistenza del rischio di instabilità ad Est e del relativo contagio ad Ovest.
Al momento il mercato finanziario valuta che tali rischi siano di peso frenante inferiore allo stimolo accelerante fornito dalla megaliquidità generata dalla Bce. Ma è evidente che per far continuare questo ottimismo ci vorrà più capacità stabilizzante delle politiche estere americana e degli europei.
Carlo Pelanda economista
www.carlopelanda.com
Una pressione anche sull'Italia
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- Pubblicato Martedì, 14 Luglio 2015 15:33
La ripresa in Italia si sta già consolidando. La crescita tendenziale del Pil 2015 sta andando verso l'1%.
Da un lato, si tratta più di un rimbalzo dalle condizioni recessive precedenti che di un vero risanamento. Dall'altro, la tendenza è espansiva pur in uno scenario di crescita insufficiente. La crescita sufficiente, infatti, sarebbe quella tra il 2,5% del Pil ed il 3% per almeno 3 anni per poi restare sopra il 2% medio nel lungo termine. Ora è probabile una crescita media sotto il 2% fino al 2020: insufficiente. Il potenziale di crescita teorico dell'economia italiana a condizioni ottimali di modello, cioè riduzione di circa 100miliardi di spesa strutturale per tagliare almeno 70% di tasse portando quelle complessive sulle imprese ad un massimo del 20% e quelle sulle persone fisiche ad una riduzione sostanziale, sarebbe attorno al 5% per tre anni e vicina al 2,5% tendenziale nellungo periodo. Ma un governo di sinistra nemmeno tenterà un tale cambiamento di modello che penalizzerebbe il proprio elettorato fatto per lo più da dipendenti pubblici che dovrebbero essere ridotti.
Il punto: il caso greco sta accelerando la pressione sull'Italia affinché dimostri la sostenibilità del debito così evitando che il contagio del fallimento di Atene tocchi Roma destabilizzando l'intero Eurosistema. Ma il governo è nei guai: deve coprire un buco di almeno 20miliardi, se non di più, per contenere il deficit 2015 entro le soglie promesse. Ora dovrà scegliere tra aumentare le tasse, iva e patrimoniali e ridurre la spesa, ma avendo come spazio solo il taglio dei trasferimenti alle Regioni, in particolare la Sanità, oppure l'avvio di una riduzione del personale pubblico. Se alzerà le tasse perché non se la sente di affrontare il dissenso politico di questi tagli, la crescita ne risentirà con il rischio di un ritorno alla recessione che, comunque, renderà il debito inaffidabile. In tale scenario è probabile che l'Eurozona, impaurita dal contagio greco, pretenda un controllo più diretto dell'Italia imponendole riforme combinate di rigore (tagli alla spesa) ed efficienza (detassazione) in cambio di eurogaranzie. Sarebbe più sano che l'Italia avviasse in autonomia tali riforme per puntare ad una crescita sufficiente che a sua volta renda affidabile il debito.
Ma ci vorrebbe un governo di unità nazionale per farlo. Qualora la politica non lo volesse o non riuscisse sarà inevitabile un commissariamento europeo, già nell'aria.
Carlo Pelanda
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Famiglie, fiducia e ripresa passiva
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- Pubblicato Mercoledì, 25 Marzo 2015 04:04
Mercati globali e sfida europea
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- Pubblicato Martedì, 23 Giugno 2015 16:26
Il negoziato per un mercato unico euroamericano è solo in bozza, ma ha superato gli ostacoli iniziali rendendone probabile una conclusione positiva, anche anticipata da un recente voto favorevole preliminare del Parlamento europeo. Obama vorrebbe chiudere l'accordo con gli europei (Ttip) e quello con le nazioni del Pacifico (Tpp) per lasciare come eredità la più grande area di mercato comune del pianeta con al centro l'America entro la fine del suo mandato nel gennaio 2017. La maggioranza repubblicana nel Congresso è superfavorevole agli accordi di libero scambio, anche perché strumento di dominio globale americano, ma ha al suo interno una minoranza protezionista che la rende prudente in vista delle elezioni presidenziali del novembre 2016. La minoranza democratica è influenzata dall'estrema sinistra protezionista e sindacale che si oppone a qualsiasi accordo di mercato più aperto. Infatti nei giorni scorsi Obama si è visto rifiutare i poteri speciali per accelerare la firma del Tpp. Questo incidente apre la possibilità che il TTip possa essere firmato prima, permettendo agli europei di condizionare gli accordi nel Pacifico. Sarebbe meglio per noi, infatti, che americani ed europei usassero un criterio comune per trattare con Giappone, Australia, Perù, Cile, ecc. piuttosto che un negoziato dove l'America faccia accordi separati con europei ed asiatici-sudamericani. Il Pacifico sarà il megamercato del futuro e occorre evitare che le aziende italiane ed europee abbiano svantaggi di accesso in relazione a quelle americane. Inoltre, la Cina, poiché esclusa dal Ttp, sta cercando di sabotarlo così come Mosca e Pechino stanno facendo con il Ttip, ambedue ricattando la Germania e cercando di condizionare l'Italia. In Tale gioco la soluzione è una più forte convergenza euroamericana per dare forza alla Ue e all'America di resistere alle controreazioni e per costruire un nucleo geopolitico che sia centro e motore della nuova architettura politica del mercato mondiale. In particolare, entro questo nucleo la Ue dovrebbe convincere l'America ad includere, pur nel futuro e con condizioni, la Russia. Ma la geopolitica europea, anche il provincialismo strategico francese, è più passiva che attiva.
Il salvavita della BCE
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- Pubblicato Venerdì, 13 Marzo 2015 04:04